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La pandemia vista con gli occhi di una giovane fisiatra

La giovane fisiatra del Montecatone R.I.: «Metamorfosi indispensabile per proteggere i nostri Pazienti»


Se fai il fisiatra, Covid19 non è proprio il tuo pane quotidiano. Ciò nonostante, essendo tu un medico, hai precisa consapevolezza della materia, dei pericoli connessi, della profilassi, sai insomma gestire l’imponderabile con cognizione di causa e tenuta psicologica rispetto a chi, il camice, non lo ha mai indossato. Ma, proprio perché sei un medico e devi occuparti di Pazienti a rischio contagio – e potresti essere tu stesso ulteriore veicolo del virus – sapere e consapevolezza trovano inevitabile ragione nella responsabilità.

Ed è questo il contesto in cui si è dipanata la vicenda Coronavirus al MRI come emerge anche dal racconto di Silvia Volini, medico fisiatra in Unità Spinale al Montecatone Rehabilitation Institute che in un webinar organizzato da Simfer – Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa – ha sintetizzato le ultime settimane della sua esperienza professionale, che è cambiata parecchio. «Soprattutto – dice – quando si è sviluppato un piccolo focolaio in un reparto: la priorità era mettere i Pazienti in sicurezza organizzando le dimissioni di chi non presentava necessità inderogabili di ospedalizzazione, un grande sforzo da parte di tutti per procurare nel minor tempo possibile gli ausili necessari alla domiciliazione ed attivare, dove necessario, l’assistenza domiciliare».

La metamorfosi strutturale è proseguita con la riorganizzazione del reparto, reso Covid19, dell’attività riabilitativa nelle palestre e, spiega ancora Volini, «quando abbiamo offerto disponibilità ad accogliere pazienti provenienti da altre strutture, non solo mielolesi, con bisogni riabilitativi sia pregressi che legati all’infezione da virus». Un periodo intenso durante il quale il personale si è confrontato «non solo con la fragilità clinica ma anche psicologica dei pazienti – aggiunge Volini – legata all’isolamento e alla solitudine che necessariamente ne sono seguiti, con un lavoro di équipe che ha richiesto un impegno corale finalizzato anche a mantenere i contatti con i familiari con telefonate o videochiamate, anche assistite».

Per Volini «non eravamo e non ci sentivamo pronti a gestire un cambiamento di tale portata, fatto di tante preoccupazioni: quella concreta di poter essere a nostra volta contagiati o essere veicolo di contagio per altri, per chi ci era attorno, sia all’interno sia all’esterno dell’ambiente lavorativo. Per questo la riorganizzazione ha dovuto tenere conto di diversi aspetti, di gesti che con l’andar del tempo sono apparsi quasi come maniacali, come il rito della vestizione e della svestizione, atti misurati e controllati per ridurre al minimo il rischio di contaminazione nelle fasi più delicate della giornata, all’ingresso e soprattutto all’uscita dalla cosiddetta zona sporca». Ci sono anche dei lati “positivi”, come la riscoperta di una più intensa collaborazione tra figure professionali finalizzata a fare la differenza, «abbiamo imparato a lavorare in modo diverso – commenta Volini – adattandoci gli uni agli altri, talvolta abbandonando ciascuno il proprio ruolo, se necessario. Così facendo, e ci tengo molto a sottolineare l’importanza del lavoro in team, è stata possibile la creazione del Reparto di Riabilitazione Covid19 e la gestione dell’elevato livello di stress psicologico e fisico che tale attività, per il tipo e la natura delle attenzioni da mantenere, richiede».

A Montecatone la pandemia è stata il volano per l’avvio di attività di studio per capire e conoscere il più possibile i meccanismi patogenetici e le possibilità terapeutiche della malattia, in modo da poter gestire i Pazienti e le complicanze in conformità con le evidenze di letteratura disponibili. «In un secondo momento – aggiunge Volini – ci siamo concentrati sui fabbisogni riabilitativi: potendo seguire mielolesi affetti da Covid19 abbiamo raccolto i dati relativi all’andamento dell’infezione e, grazie a Carlotte Kiekens – direttore dell’Unità Spinale del MRI – coordinato uno studio osservazionale prospettico multicentrico per monitorare l’andamento della malattia in questo specifico cluster. Abbiamo infine collaborato alla stesura di un protocollo riabilitativo che ci consentisse di accogliere in reparto Pazienti provenienti da altre realtà e con patologie diverse dalla lesione midollare».

 

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